PROLOGO: Centomila anni fa…
I soldati di
entrambe le fazioni giacevano in tal numero da impedire di vedere il
suolo. Il cielo stesso si era colorato del sangue versato in quella titanica
battaglia. Non un filo d’erba era rimasto in piedi, e le foreste erano ora
fatte di lance insanguinate, intere e spezzate, affondate nel terreno di carne
morta. Corpi di uomini, di mostri a volte troppo
ripugnanti per essere descritti. E corpi di lupi, e di
licantropi, in eguale quantità dei caduti delle altre specie.
L’aria era satura del silenzio
della morte e del sangue. Il sole stesso, alto nel cielo, era di un colore
malsano, e il suo calore diffondeva uno spaventoso lezzo metallico misto ad
escrementi.
Non era stato il desiderio di
gloria, che aveva spinto questi soldati alla morte. Non era stato per il
potere, o per le ricchezze.
Era stato per la sopravvivenza
del mondo. Una sfida lanciata dai mortali contro un dio
crudele ed i suoi accoliti.
Una sfida i cui ultimi due
contendenti stavano in questo momento disputando le fasi finali, le cui
conseguenze si sarebbero riflettute su almeno due specie, negli eoni a venire…
Si battevano a spada tratta,
ai piedi della grandiosa statua del dio-serpente a
otto teste, Set, la cui base rotonda
era il solo spazio rimasto libero dai corpi. Le loro lame cozzavano con forza,
sollevando ogni volta piogge di scintille. E quando il colpo mancava il bersaglio, raggiungendo invece
la pietra, la tagliava come burro.
I due ultimi sopravvissuti
erano un essere umano ed un licantropo. Entrambi nel fiore degli anni. Entrambi i migliori dei loro schieramenti, entrambi leader. Il primo, trent’anni, biondo, con indosso l’abito
cerimoniale blu decorato da simboli in oro, con le spalline bordate di
pelliccia maculata, e un ampio mantello scarlatto. Il secondo, alto e robusto
almeno il doppio, dalla pelliccia folta e candida, chiazzata di sangue;
indossava lo stretto essenziale e molto ammaccato di un’armatura. Le sue zanne
erano formidabili come gli artigli, armi naturali che, unite
alla sua agilità e forza, lo rendevano ancora più pericoloso di quanto non
fosse a vedersi.
L’uomo era ancora vivo solo
perché era uno stregone, il migliore… Tuttavia, l’uso della magia aveva
inevitabilmente delle conseguenze sul vigore fisico, e l’uomo era ormai al limite. Il suo volto era terreo, il sudore scorreva
abbondante, e ogni mossa sempre meno elastica, mentre il lupo sembrava capace
di andare avanti ancora per giorni. Del resto, quel lupo, come ogni suo simile
era nato proprio per combattere come ne’ uomo ne’ demone avrebbe saputo fare, con l’intelligenza
e la determinazione e la forza di due specie, figlio del patto fra Gaea e
l’umanità…
L’uomo aveva una sola
occasione, ormai, e lo sapeva, eppure, per qualche ragione, non riusciva a
trovare le forze. In fondo, era solo una magia elementare, non avrebbe
richiesto che un momento solo almeno per ferire quella bestia maledetta…
Intento a parare un altro
affondo, l’uomo scivolò su una macchia di sangue. L’impatto contro la pietra
gli tolse il fiato. E abbassò la guardia!
I suoi occhi cerchiati di nero
si dilatarono nella consapevolezza che era finita. La lama saettò verso di lui,
nell’arco che gli avrebbe tagliato la testa, ponendo fine alla sua lunga vita…
MARVELIT presenta
I SUPERNATURALS
Episodio 21
- L’Ombra del Serpente
Set Atra-No, Isola di Ross,
Antartide, oggi.
Nel buio cavernoso
di un’orbita vuota
si accese una scintilla.
Thulsa Doom, Alto Sacerdote di Set, era sveglio. Qualunque cosa si agitasse
nella sua mente, era nascosta dietro la tetra impassibilità del teschio nudo
che era la sua testa. Solo l’agitarsi inquieto del petto tradiva la sua ansia.
Era successo di nuovo. Ancora
una volta, il ricordo della sua prima morte, ma con la variazione che questa
volta non aveva ferito a morte il maledetto animale, non aveva avuto il tempo
di lanciare la sua maledizione, che avrebbe trasformato in guerra l’alleanza
fra l’Uomo ed il Lupo.
Una premonizione? Ridicolo!
Lui era Thulsa Doom, aveva vinto la morte, e quell’incubo non
era che un frutto della sua irrequietudine. Primeus, maledetto! Vorrei che fossi ancora vivo per poterti squartare
il ventre un milione di volte.
Avrebbe dovuto tutto essere
più facile. Una volta tornato in vita, in quest’era
dove la magia era molto meno diffusa, aveva scoperto che i nemici del maledetto
Popolo erano più vigili ed attivi che
mai, infiltrati ovunque, ancora disposti a proteggere i loro persecutori
piuttosto che sfinirsi nella guerra contro di loro.
Thulsa Doom si alzò dal trono
d’oro a forma di serpente, e si diresse verso la terrazza.
Una volta fuori, il mantello
agitato dal gelido vento antartico, vento che nulla più significava per il suo
corpo insensibile agli elementi naturali, osservò la statua di Set che dominava
la città. Sulla testa centrale, brillava di luce propria la gemma posta
nell’occhio sinistro. Se solo avesse posseduto anche quello
destro, Set avrebbe potuto tornare su questo piano e finire ciò che aveva
iniziato tanto, tanto tempo fa…
Hm, oggi Set è assente. La
presenza del Dio era ridotta ad un semplice rumore di fondo.
Persino la luce del suo occhio brillava meno intensamente del solito.
Set era impegnato in qualcosa,
ma cosa[i]? Perché non si era confidato col suo più fedele devoto?
Non importa. Quello che il Padrone vuole, il Padrone lo ottiene. Il
meglio che posso fare, in queste singolari circostanze, è di facilitargli le
cose per il suo ritorno. Thulsa Doom
si voltò e rientrò nella sala.
La sfera di
metallo incastonata fra le zanne di un serpente grande quanto un uomo si accese
di una luce intensa, per poi rivelare una perfetta riproduzione del globo
terrestre. Numerosi puntini
brillavano sulla superficie rotante e trasparente come cristallo.
Eccoli, i più ‘potenti’ maghi di questa era! A un suo comando, i puntini
che brillavano più intensamente mostrarono proiezioni a figura intera di figure
molto note nel mondo dell’arcano. “Dottor
Strange, un tempo mago supremo, ora in ritiro con la sua sposa presso il
reame che fu di Dormammu. Ah, e il
bovino Rintrah,”
Doom ridacchiò alla vista del massiccio alieno dalla pelliccia verde le cui
fattezze, effettivamente, ricordavano un toro antropomorfo, avvolto dalla
familiare cappa scarlatta che fu di Strange. “Un giorno dovrò divertirmi con
te. Vediamo chi altro c’è…hmm, Darklady,
sconfitta per avere tentato di giocare in un gioco più grande di lei.
Sconfitta, ma non deceduta: dovrò tenerti d’occhio; forse, la prossima volta,
potrai essere una degna apprendista.
“Chi altri? Sì, Scarlet. Anche se della magia conosci i
rudimenti, il tuo potere di alterazione della realtà,
così come quello che porta il frutto ancora acerbo del tuo ventre è degno di
molta attenzione. Col Dottor Destino
ho un conto in sospeso, ma può aspettare. Quanto a Marie Laveau, la strega di New Orleans, diciamo che è troppo occupata
dalle conseguenze dell’uragano per rappresentare una preoccupazione immediata…”
se avesse potuto, a questo punto, aggrottare la fronte, Thulsa Doom lo avrebbe
fatto.
C’erano due puntini in
particolare che attiravano la sua attenzione. Uno era situato in una località
del Texas, e l’altro nella più lontana estremità nord-occidentale del paese oggi
conosciuto come Scozia.
C’è un altro Votato in quel luogo
chiamato Revelation, uno molto potente… Ma è quella
località in Scozia che mi preoccupa. I messi inviati sono tutti stati uccisi.
Chiunque sia il responsabile, è potente, ed è l’unico
che sia riuscito a tenersi nascosto da me… E questo non va bene! È giunta l’ora
di fare la sua conoscenza, in un modo o nell’altro…
Cape Cliff,
Salisgraveshire, Scozia nord-occidentale
“Il mio concetto di vacanza,
una vita fa, contemplava un bibita fresca, il mare
azzurro ed il sole dei Caraibi. Di sicuro non questo.” Osservazione non proprio malposta, visto
che attraverso la finestra non si vedeva che l’immutabile maltempo
tipico di quella località. Raffiche gelide di vento e di
pioggia, ed un mare abbastanza agitato da affondare una petroliera.
La mostruosa creatura mezzo
uomo e mezzo demone che rispondeva al nome di Hobgoblin si voltò, percorrendo
le scale verso il salone. Aveva voglia di evocare il suo fiammeggiante aliante
diabolico e volare alto nel cielo, per sfogare un po’ la tensione…ma scartò
l’idea nel momento in cui prese forma. Si toccò istintivamente il petto, pur
sapendo che non era certo lì la sua maledetta porzione del maledetto Caduceo degli Sterling. Quel maledetto
talismano o cos’altro fosse lo costringeva a restare
entro una certa distanza dai suoi ‘compagni di squadra’…
“*Tss* Bella squadra! Ce la
squaglieremmo tutti alla prima occasione…” borbottò
appena ebbe percorso l’ultimo scalino. La sua lingua, lunga e biforcuta come si
conveniva ad una creatura del suo stampo, si agitò fra le zanne in uno schifoso
sibilo.
“Oh, non sarebbe neppure così
insopportabile, se non fosse che non c’è neppure un videogame da queste parti,” disse un uomo in giubbotto e calzoni di pelle blu, mentre
d’argento erano gli stivali e i guanti, nonché la maschera piatta dotata di due
aperture scarlatte per gli occhi. Zachary
Moonhunter fece un cenno con la testa verso l’ingresso. “Andiamo a fare
bisboccia in paese: Jeeves ha detto che c’è un pub. Magari riesci a
terrorizzare abbastanza l’oste per un paio di giri gratis.”
“Spiritoso,” sibilò Hobgoblin, ma lo stesso lo seguì fuori.
Il locale, l’unico di quella
ristretta comunità di rudi pescatori, non si differenziava dalle altre
abitazioni, salvo che nelle dimensioni. Lo Storm
Crow aveva pareti bianche, un tetto di cotto con un camino da cui si levava
incessantemente una voluta di fumo bianco. Era anche l’edificio di Cape Cliff
più vicino al castello del Conte.
“Bella giornata, eh?” fece
Moonhunter spalancando la porta. Dietro di lui, gli occhi di Hobgoblin
brillavano di una sinistra luce rossa nell’ombra del cappuccio, mentre il
mantello copriva interamente la sua figura.
I nativi, chi impegnato a
bere, chi a tirare freccette, chi a leggere un giornale degnarono
di appena un’occhiata i nuovi arrivati. Zachary attribuì la cosa al fatto che
gli altri Supernaturals erano già lì ad occupare un tavolaccio d’angolo:
Ø
William Allen, Carrion, un non-morto figlio della scienza.
Ø
Tilda Johnson, Nightshade, licantropa.
Ø
Bram Velsing, Dreadknight, il sinistro cavaliere latveriano.
Ø
Trevor Corson, Hood, esiliato dell’elusivo Darkmere.
Ø
Serjey D’Arby, il Barone Nero, arcivampiro nonché padrone
dei temibili Farkaskoldoi, i
licantropi-vampiro.
I due presero gli ultimi posti
liberi alle estremità delle panche. Dei due assenti, Joseph Conroy, Inferno, era di sentinella al castello, mentre Ahmad Azis, Anubi, sacerdote
dell’omonimo dio-sciacallo egizio era rimasto al castello in meditazione.
Appena si furono seduti,
arrivò un donnone con due braccia come prosciutti. Indossava un grembiule
sporco, e portava i capelli rossi raccolti in una crocchia. Come tutti gli
abitanti di quella zona, tendeva al pallido. In ogni mano reggeva un alto
boccale di quella che sembrava la birra più scura che
Moonhunter avesse mai visto. “Cosa vi porto da
mangiare? Abbiamo della carne in salsa di menta, se volete.”
In realtà, il tono ammetteva poche discussioni.
“Uh… Va bene, e carne sia.”
Appena la donna si fu
allontanata, Hunter disse, “Simpatica…”
Una freccetta volò veloce
all’indirizzo della sua testa.
Il cacciatore di licantropi tese una mano, e l’afferrò al volo, senza neppure voltarsi.
“Non mi dire, amico. Ti ho offeso la mamma?”
L’uomo che aveva lanciato la
freccetta fece un cenno all’indirizzo della cucina, da cui ora veniva intenso
l’aroma della pietanza. “Ma’ Belle è un’istituzione per tutti noi, straniero, e
vi ha mostrato parecchio rispetto proponendovi la
carne: è merce rara, qui.”
Moonhunter lanciò la
freccetta, colpendo in pieno il bersaglio. “Urrà urrà. Non mi sembra di
avergliela chiesta esplicitamente, giusto? Come mai tanto onore?”
“Siete ospiti del Conte,” disse un tipo posando il proprio boccale. “E gli ospiti
del Conte meritano il rispetto che merita lui.”
“Perché?”
fece Hood. Come sempre, la sua cappa, rispondendo alle sue emozioni, si agitò
leggermente. “Non vi fa pagare le tasse?”
“Già. E in più, la sua
benedizione ci garantisce un buon pescato,” intervenne
un terzo avventore. “E quando le cose vanno veramente
male, ha sempre del cibo e dell’acqua. E in cambio non
chiede nulla.”
“Come mai questa…generosità?” chiese Dreadknight, che, degno allievo della politica di Destino,
non avrebbe neppure concepito una cosa del genere.
“Chiedetelo a lui,” disse il tiratore, estraendo la freccetta dal centro.
“Bel tiro, ad ogni modo, straniero.”
“Grazie,”
fece Hunter. Poi, agli altri, “Io, comunque, gli sarei
grato se mi mettesse a disposizione almeno un collegamento internet. Il suo
castello è peggio di un museo. Almeno, in un museo c’è della roba interessante
da vedere; lì dentro, invece, è spoglio come una tomba. Dobbiamo usare i nostri
gadget, e sempre fuori da lì, per un po’ di analisi.”
Il Barone Nero ridacchiò, poi bevve un sorso di birra. “Hmm,
davvero…intensa, anche se mi manca un buon vino.”
“Cosa
c’è da ridere, succhiasangue?”
“Semplice, mortale: il Conte è
un mago, questo dovrebbe
essere ovvio. Un mago potente, più di quanto io stesso
sospettassi. Per mantenere un simile livello, occorre vivere in un luogo il più
spurio possibile di tecnologia. Quando l’energia è
canalizzata anche solo in una lampada a gas, si creano…interferenze con il mana della locazione in cui si trova.
Il miglior compromesso è un sistema ibrido, che usa il mana stesso per
alimentare i circuiti. Come la tua armatura, Bram Velsing.”
“Cosa?”
“Già. In un certo senso, le
vostre armi, la vostra ‘tecnologia’…sono parte di voi, e non possono essere
rimosse o distrutte, non senza che vi siano ripercussioni fisiche su di voi.
Cercate di averne cura.” E
fece un altro risolino.
Ci fu un generale scambiarsi di occhiate fra i ‘veterani’ del gruppo -ecco un’altra cosa
che Mary Elizabeth Sterling non aveva
detto loro, al momento di consegnare loro le nuove armi ed armature… “Come fai
a saperlo?” chiese Nightshade.
“Sono un mago, e sono anche
una creatura soprannaturale. Te ne saresti accorta anche tu, se ti applicassi
un po’, femmina: dentro di te, in fondo, scorre il sangue contaminato
dall’influsso del Darkhold.”
“Cosa?”
fecero all’unisono lei e Moonhunter.
“I licantropi si suddividono in
razze, una delle quali nata grazie a un incantesimo
compiuto con il Libro di Chtohn. Non so come tu faccia a resistere alla sua oscura influenza…” il
tono di D’Arby non nascondeva la sua ammirazione…e qualcos’altro. E quel
qualcosa stava seriamente mettendo a disagio Nightshade, che abbassò
le orecchie.
Ma’ Belle arrivò in quel
momento, reggendo fra le braccia un ampio vassoio di legno, su cui erano
adagiati sette piatti colmi di stufato alla menta. Ignara del silenzio carico
di tensione, o semplicemente scegliendo di non farsi coinvolgere, mise i piatti
davanti ai suoi tenebrosi ospiti. Poi fece per allontanarsi, quando Zachary
disse, “Niente posate?”
Senza neppure voltarsi, lei
disse, “Avete paura di sporcarvi le manine?”
Diversi risolini risuonarono
fra la clientela.
“Obbè, almeno sappiamo perché
ci sono questi bei tovaglioloni…” Hunter si tolse la
maschera d’argento.
Osservandoli mangiare, Trevor,
che aveva avuto la sventura di sedere proprio accanto a Carrion, non solo non
sentiva molto appetito, ma capiva anche perché quei tizi andassero in giro in
costume 24 ore su 24 -lui stesso sentiva che non sarebbe riuscito ad abbassare
minimamente la guardia, non a meno di trovarsi a mezzo mondo di distanza da
loro… Ma chi me lo ha fatto fare di lasciare il Darkmere?!
“Questi non li
mangiate?” chiese Nightshade a lui e a Carrion, e subito prese i piatti, nei
quali affondò voracemente le mascelle.
“Fame da lupa, eh?” E un bel
premio all’originalità. Dio, come gli mancava la sua
famiglia: era convinto che non ci potesse essere nulla di peggio del
Triumvirato e dei suoi onnipresenti Grifoni…e guarda un po’ in che merda si era
infilato. Almeno, nel Darkmere aveva degli amici -OK, molti di loro
erano degli sbandati da ricovero, ma almeno li conosceva, e si divertiva con
loro. La sua famiglia lo faceva impazzire, ma almeno gli volevano bene.
Questi supertizi erano una bomba a tempo. Si sopportavano solo perché quello
strampalato incantesimo impediva loro di ammazzarsi, ma non mostravano alcuna
confidenza fra di loro. La pupa in pelliccia sembrava
la più socievole e a parte il muso aveva le curve giuste, ma faceva coppia con
maschera d’argento. Per il resto erano tutti…be’, diciamo
che non rientravano proprio nei suoi gusti. Dio,
dammi un Wendy’s e Ti accendo un bel cero!
In
risposta a quella preghiera, lo stomaco gli brontolò rumorosamente.
“Oh,
scusa,” disse Shade, inghiottendo in fretta un
boccone, per poi restituirgli un piatto ancora intonso. Trevor prese un
boccone. “Ma che razza di gente mangia senza le
posate, dico io…” e lo inghiottì. “Hmm, mica male
però.” E sperò che fosse solo la fame a farlo parlare
così.
“Non
so le hai notato, moccioso,” disse un avventore, “ma
qui non ci sono supermercati e tutte quelle frivolezze di città. Si risparmia
su tutto quello che si può. Ma se ti può consolare,”
aggiunse con un ghigno sfottorio, “abbiamo i cucchiai per la zuppa. Niente
servizio d’argento, però.” Per qualche ragione, quella battuta fece ridere
mezzo locale.
Trevor
prese un altro pezzo di carne. “Vi prego, ditemi che c’è un teleporta fra voi.
Mi accontento anche della cucina cinese in un localaccio di periferia a Roma.
Masticò in fretta e inghiottì, accompagnando con un sorso di birra. “Va bene
che dobbiamo fare comunella di riffa o di raffa, ma
perché dobbiamo starcene qui, dico io?” Se il suo parlare aveva offeso la
clientela, nessuno glielo fece notare.
“Mi
sembrava che il perché fosse chiaro,” rispose Zachary,
prendendo l’ultimo boccone. “Ahmad deve guardarsi da questo Konshu o come
diavolo si chiama. William è ricercato dallo SHIELD. Phillip deve rispondere di
abbastanza omicidi da dare un orgasmo ai sostenitori della pena di morte. Tilda
ha la sua brava dose di sangue sulle zampe, senza contare le violazioni di
mezzo codice deontologico sulle biotecnologie. Io sono stato condonato dai
Vendicatori, ma al massimo erano accuse di bracconaggio, almeno per quanto
riguarda le leggi degli uomini; ma se mi beccano i licantropi, mi pelano vivo.
Bram è meglio che non si faccia notare dal Dottor Destino, e il succhiasangue
qui,” con un pollice indicò il Barone Nero, “può
essere un fegatoso, ma ci sono troppi suoi simili che lo possono infastidire
seriamente, senza contare ogni cacciatore di vampiri.
“In
breve, giovanotto, annoiarci a morte qui è la cosa migliore che potesse capitarci, date le circostanze. Se
mai decideremo di cambiare tana, stai sicuro che…ehi, cos’ha il tuo mantello?”
Improvvisamente,
la cappa vivente sembrava impazzita! Era percorsa da una serie di fremiti
sempre più intensi. Allo stesso tempo, una specie di mal di testa aveva deciso di farsi vivo nelle tempie di Trevor, che disse, “Non lo so.
Provo il desiderio di andarmene da qui, e subito!”
Poi
si manifestò. La spettrale figura di un lupo mannaro, un
robusto maschio che indossava un’armatura identica a quella che portava la
femmina. Stava a mezz’aria, sopra il tavolo a cui sedevano i
Supernaturals, guardando Nightshade severamente, e puntando con un dito
artigliato verso l’alto.
“Pintea?” fece Tilda. “Cosa
c’è, cosa vuoi…” poi, l’armatura si mise a brillare di colpo di una luce
intensa come quella del sole…
Se c’erano dei pensieri, delle emozioni, nella mente
della creatura di nome Inferno, erano nascosti molto in profondità.
Il golem magmatico stava in piedi
sotto la pioggia, che si trasformava in vapore ancora prima di toccare la
superficie rovente del suo corpo che brillava di fuochi mistici come un faro.
Un tempo, Joseph Conroy era
stato un uomo, uno dei tanti rappresentanti della middle-class, impiegati presso
un’acciaieria di Pittsburg. Un uomo con una famiglia e tanti problemi
economici, che lo avevano spinto ad indebitarsi in un giro di scommesse.
La cosa gli era stata fatale.
Incapace di pagare, era stato ucciso, gettato in una vasca di
acciaio fuso. Teoricamente, avrebbe dovuto
essere morto; invece, in qualche modo, il frammento del potente martello Mjolnir che portava con sé lo aveva
trasformato in quello che era adesso.
Dopo una battaglia con i
Vendicatori, ottenuta la vendetta contro i suoi assassini, Inferno si era
ritirato in un lungo sonno senza sogni, solo per essere svegliato pochi giorni
prima dall’incantesimo del Caduceo. Non ne sapeva il perché, ne’
gli importava. Se, per ora, doveva stare in
prossimità di questo strano gruppo, lo avrebbe fatto e basta. Se ci sarebbe stato posto per i suoi familiari, solo il tempo lo
avrebbe detto…
Nuove luci si accesero nel
cielo, ma queste non erano le luci dei fulmini. Erano rosse, tanto per
cominciare, e non furono seguite non da tuoni, bensì da un sibilo.
Inferno sollevò lo sguardo.
Rimase impassibile, anche quando vide l’oggetto fiammeggiante avvicinarsi ad
una velocità da rivaleggiare con un missile.
Poi, la sfera di fuoco gli fu
addosso, e dove stava Joseph Conroy, ci fu una spaventosa esplosione, alla
quale seguì una alta colonna di fumo e fiamme. La
stessa cosa successe con il castello e il villaggio. Lo Storm Crow scomparve come se lo avesse inghiottito una piccola
bomba atomica, mentre gli edifici circostanti venivano
investiti dall’onda d’urto per poi cadere come casette di paglia.
La bomba destinata al
castello, invece, si infranse contro una barriera
invisibile. L’esplosione che risultò mise bene in
evidenza un emisfero trasparente venato di disegni fatti con complesse rune
angolari, che brillarono come oro. Quando le fiamme si
furono dissipate, la barriera runica scomparve.
Un nuovo fuoco scese dalle
nuvole, ma questo era più lento, ed aveva una forma diversa; una forma umana,
per la precisione. Era impossibile distinguerne i contorni, salvo gli orli di
un ampio mantello…
Fermatasi sul centro del
castello, le fiamme si dissiparono, rivelandosi una vera e propria cappa,
indossata da una figura maschile le cui mani erano ossa coperte di fuoco. Il
suo volto era l’infernale parodia di bellezza umana: tratti delicati dai
capelli e le sopracciglia infuocate, occhi rossi dalle pupille del colore della
lava.
“Una buona barriera, mago,” disse, con una voce che sembrava il ruggito di un
incendio. “Ma anche uno sforzo inutile. Io, Generale Almund, al servizio di Set, la
distruggerò così come ho annientato i tuoi sicofanti.”
In risposta, la proiezione astrale del padrone del
castello apparve davanti al nemico. “Un Generale, addirittura. Il tuo signore
pensa che sarà davvero così facile vincermi? Io sono Victor Conte di
Salisgrave, discendente di Baasty Sacerdotessa di Gaea e di Gonar
il Pitto, che insieme a Kull
di Valusia appoggiò nella lotta degli uomini contro
Set.”
Il Generale esitò. “Sei di
sangue pitto?” poi sorrise sinistramente. “Sì, capisco
perché ti sei nascosto agli occhi del divino Set. Quelli come te non hanno fatto che porre ostacoli ai suoi piani di
conquista.”
Victor annuì. “Sapevo anche
che non avrei potuto nascondermi a lungo dallo sguardo di Thulsa Doom, una
volta che fosse tornato. Ma non sono impreparato al tuo arrivo, Generale Almund. Pensi
veramente che il tuo ridicolo attacco possa avere nuociuto ai miei campioni?” E
indicò con un dito grinzoso verso il basso.
Istintivamente, Almund mosse
gli occhi in quella direzione…giusto in tempo per essere investito dalla figura
di Inferno! Il metallo dell’armatura del Generale
emise un potente schiocco metallico, nel quale il suo grido di dolore si perse.
Tale fu la spinta, che proseguirono per diverse decine
di metri.
Victor scosse la testa con un verso
di disapprovazione. “Dilettanti.”
Mentre la parabola giungeva al suo apice, Inferno avvolse le
braccia intorno al suo avversario, serrandolo in una morsa invincibile.
“Miserabile ammasso di metallo
fuso,” urlò Almund, concentrando calor bianco nelle
proprie mani. “Liberami, te lo ordino! Liberami!” ma
ogni suo sforzo fu vano contro una creatura invero
degna del proprio nome di battaglia!
E, alla fine, i due combattenti arrivarono al suolo con
un’esplosione che scosse violentemente il suolo.
“Siamo ancora vivi?” fece
Trevor.
Il pub era essenzialmente
intatto. In qualche modo, qualunque cosa fosse piombata su di loro, era stata
fermata… “Oh, no, no…”
In realtà, qualunque cosa li
avesse salvati, non aveva impedito che l’onda d’urto facesse i suoi danni al
resto del villaggio. Quasi tutte le abitazioni erano distrutte e se non c’erano
incendi a man bassa era solo perché la fitta pioggia
li aveva estinti.
“Si vede che non sei di NY,
novellino” fece Moonhunter, imbracciando il suo fucile a canne mozze. “Piuttosto,
mi piacerebbe sapere che cosa ci ha salvato la buccia: non mi dispiacerebbe
riaverlo a disposizione per il secondo round.”
Nightshade si stava toccando
l’armatura argentea che, secoli addietro, era appartenuta ad un leggendario
guerriero-lupo dei Balcani. Il metallo aveva smesso di brillare. Ci hai protetto tu?
“Abbiamo compagnia,” disse Hobgoblin, puntando con la testa alla finestra.
I frammenti della ‘bomba’
ancora ardevano del proprio fuoco. Avevano tutti una forma
oblunga, come delle uova generate dall’inferno… E, una dopo l’altra,
quelle uova si stavano schiudendo, lasciando uscire degli orrori di magma al
calor bianco, parodie di esseri umani dalla schiena ricurva e irta di aculei,
dalla bocca enorme e piena di denti simili a quelli degli squali, dalle braccia
gorillesche…
“Ottimo!” fece Dreadknight.
“Avevo appunto voglia di menare le mani!”
“Uh…non dovremmo aiutare la
gente piuttosto?” tentò Hood, infilandosi il cappuccio. Immediatamente, si formò
una zona d’ombra i cui occhi erano due fessure bianche senza pupille.
Una mano gli si posò sulla
spalla. “Lascia stare, ragazzo,” disse Ma’ Belle con
un sorriso consolatorio. “Sapessi quante ne abbiamo
viste nelle nostre vite… Ci pensiamo noi ai nostri amici. Voi datevi da fare a
sistemare quei bastardi.”
“Mi piaci, donna,” disse Bram, dal cui elmo a teschio partì un lungo
fischio. Poi, corse fuori insieme agli altri.
Sulla terraferma, altri orchi
lavici erano nati dai frammenti delle altre due bombe laviche, e si stavano
dirigendo compatti verso il castello, lenti ma inesorabili.
E intanto, lo scontro fra
Inferno ed Almund proseguiva, senza un vinto ne’ un
vincitore. Per quanto Conroy possedesse una forza ed una resistenza superiori,
i suoi colpi si infrangevano contro gli scudi eretti
dal Generale.
Per Almund,
quel golem rappresentava poco più di una seccatura, alla fine: sarebbe stato
sufficiente tenerlo distratto, mentre il suo esercito raggiungeva il castello. La barriera di quel figlio dei pitti
era buona, ma non sarebbe durata sotto un attacco continuo…
Improvvisamente, i due mostri
più avanti di quella formazione si trovarono di fronte ad una nuova barriera! Il muro di luce si levò direttamente dal suolo davanti ai
loro piedi. E loro si fermarono, incerti.
Una sfera di luce squarciò
l’aria. Poi, quella sfera prese la forma di Anubi! Fra
le sue mani, incrociate al petto, il sacerdote dalla maschera d’oro del
dio-sciacallo reggeva due bastoni d’oro cerimoniali crepitanti di energia.
Almund digrignò i denti. “Un
altro ancora? Non c’è fine al numero di questi scocciatori?!”
La risposta alla sua
imprecazione arrivò quando Anubi mosse i suoi bastoni in un arco, tracciando
una coppia di linee.
Poi, quelle linee si aprirono,
rivelando i due feroci occhi del nume tutelare. E da
quegli occhi, partì una luce spaventosa!
I mostri lavici che furono
investiti da quella luce si spensero, trasformandosi
in innocua e fredda roccia, per poi sbriciolarsi.
Il Generale rimase allibito.
Sapeva che l’assenza del Dio-serpente avrebbe indebolito le sue capacità, ma
non fino a questo punto! Voltò lo sguardo verso il villaggio. Ma dove sono finiti gli altri??
Cadevano uno dopo l’altro, con
irrisoria facilità. Erano numerosi, ma lenti nei movimenti.
Un colpo di fucile. Il taglio
della spada. Un affondo di lancia. Bombe-zucca di fuoco demoniaco. Non un colpo
mancava il bersaglio. E ad ogni colpo, i corpi infuocati
si dissolvevano in nuvole di cenere e minuscoli lapilli ardenti che il forte
vento portava via in un attimo.
“Fin troppo facile,” commentò D’Arby, che osservava a distanza il lavoro fatto
da Nightshade, Moonhunter, Dreadknight e Hobgoblin. Accanto a lui, stava un tremebondo
Hood.
“Che
intendi dire?” chiese il giovane.
Il volto dell’arcivampiro era
pensoso. “Guarda il cielo e lo capirai.”
Hood lo fece… “Occavolo.”
Il Barone
sorrise. “Una discreta tattica:
misurano le nostre forze ed i tempi di reazione, ed allo stesso tempo ci fanno
sprecare energie, mentre si preparano al vero
attacco. Non è necessario essere vissuti a lungo
quanto me, per capirlo.”
Nel cielo, come se una
corrente di vento separata le stesse trasportando, le nuvole di ceneri e
lapilli stavano disponendosi in un enorme cerchio roteante, sempre più fitto
mano a mano che vi si aggiungeva nuovo materiale.
“Uh, mister… Non dovremmo
avvertire gli altri?”
Il sorriso del Barone si
accentuò fino a mostrare i canini. “No. Lasciamo che la battaglia prosegua
così. Toccherà al nemico mostrare le sue carte, a quel punto, credendo che noi saremo impreparati…”